La multa record di 1,2 miliardi di euro inflitta a Meta nel campo della protezione dei dati non rappresenta solo un duro colpo per il gigante di internet, ma potrebbe coinvolgere tutti gli utenti delle piattaforme social e potrebbe influenzare il futuro stesso della rete.
Il garante della protezione dei dati irlandese, in coordinamento con l’organismo europeo (EDpb), ha sanzionato Meta con una multa di 1,2 miliardi di euro. La motivazione risiede nel fatto che Meta ha violato ripetutamente e in modo continuativo le disposizioni dell’UE, trasferendo dati verso gli Stati Uniti e compromettendo i diritti e le libertà dei cittadini europei relativamente ai trasferimenti di dati al di là dell’oceano.
Questa sentenza è il risultato di un lungo processo di indagini, procedimenti giudiziari, accordi internazionali ed evoluzioni tecniche riguardanti il trattamento dei dati transfrontalieri, ovvero dati che attraversano i confini.
Il caso ebbe il via nel 2013 con la denuncia di un attivista per la tutela dei dati di nome Max Schrems, in seguito alle rivelazioni dell’ex informatore Edward Snowden. Si affermava che i dati trattati nei server americani erano soggetti a controlli e verifiche per effettuare una sorveglianza costante su cittadini americani e stranieri. A seguito di questa denuncia, furono emesse le sentenze Schrems I e II, che portarono a una collaborazione tra Stati Uniti ed Europa sulle modalità di trattamento dei dati dei cittadini europei.
Il confronto è stato serrato, caratterizzato da richieste, concessioni e promesse, coinvolgendo sia istituzioni che privati. Tuttavia, le richieste di sicurezza e garanzia non sono state rispettate, portando così alla sanzione da parte del garante irlandese.
Analizzando la natura della sanzione, emerge che la preoccupazione del colosso digitale americano non è stata tanto la richiesta economica, quanto il divieto di trasferimento dei dati raccolti verso i server negli Stati Uniti e la richiesta di cancellazione dei dati già inviati, entro sei mesi. Ciò comporterebbe il collasso dei servizi di Facebook e di tutte le altre piattaforme del gruppo.
In risposta, Facebook ha rilasciato un comunicato chiarificatore affermando che non ci sono pericoli di interruzione dei servizi. Il presidente degli affari globali, Nick Clegg, e Jennifer Newstead, responsabile legale di Meta, hanno dichiarato: “Migliaia di aziende e organizzazioni si affidano alla capacità di trasferire dati tra l’UE e gli Stati Uniti per operare e fornire servizi quotidiani. La nostra priorità è garantire che i nostri utenti, inserzionisti, clienti e partner possano continuare a utilizzare Facebook mantenendo i propri dati al sicuro. Intendiamo impugnare sia la sostanza della decisione che le richieste, inclusa la multa”.
Inoltre, Meta ha sottolineato che le direttive devono provenire dagli Stati, alle quali le aziende si adeguano, e pertanto impugneranno la sentenza per poter riprendere le loro attività commerciali nel rispetto delle regole, in attesa di una chiarezza legale.
Gli effetti di questa disputa, come evidenziato da Meta, non riguardano solo le pratiche sulla privacy di un’azienda, ma coinvolgono un conflitto di leggi tra le regole governative degli Stati Uniti sull’accesso ai dati e il diritto alla privacy europeo. Si tratta di una questione ampia che riguarda gli accordi internazionali sulla gestione delle informazioni.
È compito degli Stati trovare una soluzione rapida. Proprio questo è il punto che coinvolge tutti gli utenti delle piattaforme social e, più in generale, di Internet. Utilizziamo tutti un servizio che deve essere regolamentato e le decisioni prese influenzeranno il modo in cui usiamo le piattaforme, le condizioni e i costi di accesso ai servizi.
Ciò che risulta interessante è la soluzione che sarà adottata, poiché potrebbe avere un impatto significativo sull’operatività quotidiana delle piattaforme social, modificando i parametri, l’utenza e la redditività delle campagne pubblicitarie e, di conseguenza, la loro efficacia. Tutto dipenderà dalle decisioni prese dalle istituzioni. Al momento, Meta ha sei mesi per conformarsi alla sentenza, interrompendo i nuovi trasferimenti di dati e cancellando i dati precedenti.
Potrebbero essere adottate diverse soluzioni, come la costruzione di data center in Europa per gestire i dati interni o la creazione di canali dedicati a dati “garantiti”. Un’altra possibilità potrebbe essere l’adeguamento del trattamento dei dati negli Stati Uniti alle protezioni europee. Tuttavia, queste sono solo ipotesi e l’unica certezza è che il mondo virtuale, così come lo conosciamo, sta per cambiare.
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Fonte: Agenzia Ansa